50 anni dell'Armata Brancaleone: la sceneggiatura del film
Per festeggiare il cinquantesimo dell’Armata Brancaleone di Mario Monicelli (nelle sale italiane il 7 aprile del 1966), il film più amato dal regista, è uscito, presso le Edizioni Erasmo di Livorno, il quarto volume dei “Quaderni di Storia del cinema”, collana del Centro Studi Commedia all'italiana diretta da Massimo Ghirlanda.
Il volume è curato da Fabrizio Franceschini, professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Pisa, che analizza, con un’ampia introduzione e le consuete e accurate note della collana, la sceneggiatura originale scritta da Monicelli, Age e Furio Scarpelli. La presentazione è stata affidata al medievista Franco Cardini, la postfazione è di Giacomo Scarpelli, figlio di Furio.
Il film fu presentato al 19° Festival di Cannes e vinse tre Nastri d’argento. Costumi di Piero Gherardi, titoli di testa composti dai disegni di Emanuele Luzzati, accompagnati dalla celeberrima canzone scritta dagli autori – analizzata da Franceschini nel libro - e musicata da Carlo Rustichelli.
Sulla copertina spicca un disegno originale di Furio Scarpelli.
Scrive Franco Cardini, nella presentazione, che Brancaleone non è un film, è il Film: “Per noialtri ragazzi degli anni Sessanta - Settanta fra Ho Chi Minh e Fidel Castro e ‘Che’ Guevara, il vero cult era quello. Senza nemmeno rendercene conto, lo sapevamo a memoria come l’Ave Maria. Il suo copione era un autentico vademecum per tutte le stagioni e per tutte le occasioni […]. Brancaleone non è per nulla un centone: è un compendio di reminiscenze e di citazioni, dal ‘Settimo sigillo’ a ‘La sfida dei samurai’ e a ‘Rashomon’ di Akira Kurosawa sino alle più viete e spudorate reminiscenze scolastiche sapientemente evocate. Qui c’è tutto il medioevo della nostra amata paccottiglia, quella alla quale non rinunzieremo mai: gli eremiti e le streghe, le crociate e la Peste Nera, le invasioni barbariche e le ordalie. Un medioevo popolato di ‘soliti ignoti’ il cui improbabile argot ha coinvolto l’Accademia della Crusca. Un lungo apologo sulla vita di ciascuno di noi”.
Scrive Giacomo Scarpelli, nella postfazione: "Branca era un personaggio d’invenzione, ma con i piedi (e gli zoccoli di Aquilante) che calcavano il suolo storico. La buona commedia all’italiana (come il neorealismo prima, e anche il miglior cinema americano) ha sempre raccontato la storia del nostro paese, talvolta andando più in profondità di qualche trattato. Lo ha fa o inducendo alla risata e al sorriso amaro e sollecitando il pensiero e la riflessione. In definitiva, si raccontava la Storia attraverso le storie dei singoli, imbarcati in imprese che erano la caricatura di avventure, ma pur sempre avventure. Per questo motivi sono opere che si continuano a vedere e rivedere e, da qualche tempo, a studiare e ristudiare. In particolare, la lingua di Brancaleone ha spinto addirittura ad analisi lologiche e glottologiche (di cui Fabrizio Franceschini è capofila). Una lingua, anzi un idioma, che riecheggia il volgare medievale in modo verosimile ed esilarante, dove l’aulica solennità del condottiero si accoppia col burino centro-italico e la cui forza sta precisamente nella scelta di un’ironia parodistica e nella riproduzione della parlata rustica".
RECENSIONI
Recensione di Fulvio Paloscia (La Repubblica, 24 aprile 2016). La pubblicazione della sceneggiatura dell'Armata Brancaleone, a cinquant'anni dalla realizzazione di uno dei capolavori della commedia all'italiana firmato da Mario Monicelli insieme a Age e Scarpelli, è una folata di vento che destabilizza idee e teorie fino ad oggi mai messe in crisi. Fabrizio Franceschini - professore ordinario di linguistica all'Università di Pisa e che ha consegnato alla casa editrice livornese Erasmo la terza stesura di recentissimo reperimento (2015) nella casa toscana di Scarpelli, a Santa Cristina - dimostra infatti che la bislacca lingua parlata dagli altrettanto funambolici personaggi non è inventata, come in tanti hanno sostenuto, ma frutto di letture certo non sistematiche nè accademiche, ma comunque finalizzate ad una goliardica verosimiglianza. "Non voglio togliere nulla alla creatività dei tre grandi - spiega Franceschini, che ha espresso la sua ricerca in una dettagliatissima introduzione - casomai mi pare aggiungere qualcosa se mostro quanto abbiano lavorato a fondo su precise fonti, così come già avevano fatto ne La grande guerra consultando Jahier, o Lussu. Non appena capirono che il film si faceva, anche per Brancaleone Monicelli, Age e Scarpelli si buttarono a capofitto in una ricerca a tappeto che va da Pulci, a Machiavelli, Jacopone da Todi, Dante, Leopardi e Pascoli". La riprova che il lavoro è stato complesso e travagliato è nell'elaborazione della lingua dell'ebreo Abacuc, "robbovecchio e profeta del sacro rotolo": "le tre sceneggiature lo presentano sempre con l'idea di mettere in scena il giudeo romanesco; il parlato filmico, però, è ancora diverso. Alcune invenzioni geniali avvengono sul set o in fase di doppiaggio". La recensione completa di Fulvio Paloscia